venerdì 21 marzo 2008

Quelle mura

Oggi siamo andati alla Risiera di San Sabba.
Il prof ci va ogni anno accompagnando le scolaresche, per me era invece la prima volta.
Non è il primo lager che visito, ma San Sabba è diverso dagli altri.
San Sabba era una prigione in cui venivano praticate esecuzioni, i prigionieri razziali erano
pochissimi, e quei pochi venivano instradati verso i campi di lavoro in Germania, Austria, Polonia,
dove andavano incontro al loro destino, morendo di consunzione causata dalla fame e dal lavoro brutale.
E poi, dopo la morte, quei ciocchi di legno che una volta erano stati esseri umani, venivano bruciati.
I prigionieri di San Sabba sono soprattutto politici, partigiani, combattenti il nazismo e il fascismo, e come tali vengono giustiziati.
Dopo averli fatti patire brutalmente.
E i loro corpi vengono bruciati. A volte non sono nemmeno del tutto morti, secondo alcune testimonianze.
Della vera realtà di San Sabba è rimasto poco. Le microscopiche celle di sicurezza in cui venivano chiusi i prigionieri, nelle quali già due persone si sentirebbero soffocare, e che invece ne accoglievano fino a 15, e qualche altra stanza ormai spoglia, carica solo dei suoi fantasmi.
E l'impronta del forno crematorio, fatto saltare al momento della liberazione della città, per non lasciare tracce, anche se tutti sapevano.
Restano quelle mura di pietra, che a toccarle sembrano stillare lamenti.
Restano, e dovranno restare per sempre, perché il giorno che la cattiva volontà o l'incuria le faranno sparire, saremo di nuovo pronti per il più nero degli orrori.

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