Oggi siamo andati alla Risiera di San Sabba.
Il prof ci va ogni anno accompagnando le scolaresche, per me era invece la prima volta.
Non è il primo lager che visito, ma San Sabba è diverso dagli altri.
San Sabba era una prigione in cui venivano praticate esecuzioni, i prigionieri razziali erano
pochissimi, e quei pochi venivano instradati verso i campi di lavoro in Germania, Austria, Polonia,
dove andavano incontro al loro destino, morendo di consunzione causata dalla fame e dal lavoro brutale.
E poi, dopo la morte, quei ciocchi di legno che una volta erano stati esseri umani, venivano bruciati.
I prigionieri di San Sabba sono soprattutto politici, partigiani, combattenti il nazismo e il fascismo, e come tali vengono giustiziati.
Dopo averli fatti patire brutalmente.
E i loro corpi vengono bruciati. A volte non sono nemmeno del tutto morti, secondo alcune testimonianze.
Della vera realtà di San Sabba è rimasto poco. Le microscopiche celle di sicurezza in cui venivano chiusi i prigionieri, nelle quali già due persone si sentirebbero soffocare, e che invece ne accoglievano fino a 15, e qualche altra stanza ormai spoglia, carica solo dei suoi fantasmi.
E l'impronta del forno crematorio, fatto saltare al momento della liberazione della città, per non lasciare tracce, anche se tutti sapevano.
Restano quelle mura di pietra, che a toccarle sembrano stillare lamenti.
Restano, e dovranno restare per sempre, perché il giorno che la cattiva volontà o l'incuria le faranno sparire, saremo di nuovo pronti per il più nero degli orrori.
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