sabato 27 settembre 2008

By this river

You talk to me
as if from a distance
And I reply
With impressions chosen from another time, time, time,
From another time.


Tu mi parli
come se lo facessi da una grande distanza
ed io rispondo
con sensazioni, prese da un altro, un altro tempo
da un altro tempo

(By this river - Brian Eno)

Sono io quella che parla, da una grande distanza, e i ricordi mi assalgono a ondate, provenienti da un altro spazio e da un altro tempo, e hanno la sua voce.
Oggi mi hanno consegnato l'urna con le ceneri, una dignitosa cassettina di legno chiaro, e pare impossibile che un uomo di oltre cento chili sia ridotto a così poco.
Certo, se faccio appello alla mia formazione scientifica, potrei determinare con la massima esattezza il peso delle ceneri nell'urna, ma questo va al di là della scienza.
Sono piena di dolore. Oggi è, a tutti gli effetti, la prima giornata che passo interamente da sola. Ho tentato di stordirmi pulendo casa, e adesso profuma di "Mulled cider", aroma che lui adorava e che aggiungeva in dosi generose al detersivo per i pavimenti.
Ho messo a lavare tutte le sue cose che erano in giro. Passare vicino all'attaccapanni e sentire il suo odore, ancora così fresco e seducente, così erotico per me, era una sensazione che mi portava ogni volta ai confini della pazzia.
Ci sono così tante cose in questa casa che portano la sua impronta, tutte, se devo dire la verità.
Sono addolorata, come dicevo, ma, e sembra un paradosso, non sono triste nonostante pianga spesso.
In questi dieci anni ho fatto il pieno di una felicità così assoluta, intensa, incredibile da essere ai limiti dello scandalo e del miracolo, e mi basta lasciar fluttuare la mente per rivivere un momento qualsiasi della nostra vita insieme, ed è sempre un momento di felicità.
Più che altro mi mancano i discorsi, i commenti che insieme facevamo su qualsiasi cosa, dalle notizie alla radio ai libri letti.
Mi manca la sua incredibile intelligenza, l'ironia, le battute, tanto quanto mi manca il suo abbraccio di notte, a cullarmi nei momenti di insonnia.
Ho trovato una sua poesia, infilata tra i biglietti accumulati sulla mia scrivania.
L'aveva scritta tanto tempo fa, all'inizio della nostra relazione, ma se ne era ricordato in uno dei nostri giretti in Croazia di agosto, e voleva cercarla, per dedicarmela di nuovo.
Si intitola "Onda che avanza"

Sto
con le braccia
tese immerse nel tuo
azzurro incredibile
e tu sabbia
che amorevole mi sostieni
e tu aria
che odorosa
mi respiri
e tu sole
che caldo mi illumini
e tu onda che avanza
là sul mare
a me vieni lenta
come orgasmo

lunedì 22 settembre 2008

Cose da dire

E' difficilissimo scrivere in questo momento, perché il dolore mi stringe in una morsa, e per me, che tutto sommato sono una persona pudica, parlare pubblicamente di cose personali è veramente difficile.
Ma Alfredo non c'è più, e Alfredo non era una persona che faceva mistero dei suoi sentimenti, mai, e in questo stava la sua grandezza.
In questi anni mi ha insegnato molto del suo modo di essere, a me che sono una lombarda cattolica per sbaglio, ma cresciuta in una modalità culturale forse più vicina al calvinismo, con il suo riserbo e le sue prenni zone buie sui sentimenti.
Lui i sentimenti li gridava con tutto se stesso.
Se era felice il suo viso era roseo e luminoso, gli occhi nocciola diventavano trasparenti come topazi e i baffi biondi prendevano il colore dell'oro.
Se era triste, arrabbiato, infelice, impaurito, diventava pallido, gli occhi diventavano scuri, duri e impenetrabili, e i baffi sembravano quasi bianchi, spenti.
Se era felice le sue mani erano calde e morbide, se era triste erano fredde, secche.
Ci eravamo conosciuti per caso, una decina di anni fa, tutti e due con un carico di stanchezza e dolore sulle spalle, e avevamo subito capito di poter essere, l'uno per l'altro, di conforto.
La confortevole amicizia è durata poco, perché in pochissimo tempo si è trasformata in amore, in un amore così grande da vivere ogni giorno la meraviglia dell'innamoramento.
Ci innamoravamo ogni mattina, e sempre di più man mano che gli anni passavano.
Il venire a conoscenza degli inevitabili difetti, delle piccinerie che ognuno di noi ha dentro, ci dava allegria invece che fastidio.
Lui prendeva in giro bonariamente il mio totale isolarmi dalla vita e dal mondo quando leggevo un libro, per cui era perfettamente inutile parlarmi, e io sfottevo la sua estrema passione per le offerte speciali al supermercato, che lo ottenebrava così tanto da non fargli riconoscere le fregature travestite: la sua unica concessione al consumismo.
Ho ammirato fin dal primo giorno la sua estrema intelligenza, la capacità di prendere, rivoltare, approfondire e infine fare propria qualsiasi conoscenza, senza per questo apparire pedante, anzi, con leggerenza, quasi in punta di piedi.
Un giorno non sapeva, il giorno dopo ne sapeva più di chiunque altro.
Era attento al mondo, ma non ragionava mai per massimi sistemi.
Ogni persona che lo avvicinava godeva della sua attenzione, intera, senza distrazioni, senza che i suoi problemi personali andassero a influire su questa attenzione nei confronti degli altri, che capiva senza sforzi, immedesimandosi nei loro bisogni e nei loro problemi.
Eppure aveva estremo bisogno di ammirazione e di attenzione, lui, il solare e vanitoso leone che mi mostrava ridendo come un bambino i suoi articoli pubblicati, il numero di pagine di Google in cui compariva il suo nome, i numerosissimi tributi ai suoi lavori di insigne linguista, apprezzati in tutto il mondo.
E io sono orgogliosa di lui, sono orgogliosa di avergli creato intorno il clima di cui aveva bisogno per crescere e prosperare, come una pianta ha bisogno della luce del sole. Non mi era difficile guardarlo con adorazione, fargli complimenti: era esattamente quello che sentivo e provavo. Una sconfinata ammirazione e un amore sempre più grande.
Era ammalato, da un anno la sua cardiopatia si era aggravata considerevolmente.
Ma la affrontava come affrontava tutto, sfottendola, mettendo a frutto tutte le sue altre risorse, che erano quelle di un uomo anche fisicamente fuori dal comune.
I medici del 118 che hanno tentato inutilmente di rianimarlo si sono meravigliati sentendo che usciva, camminava, andava in bicicletta, faceva in tutto e per tutto una vita normale: guardando le carte lui non avrebbe dovuto essere in grado nemmeno di allacciarsi le scarpe da solo. D'altra parte non si sarebbe saputo accettare diverso: già la scoperta della perdita dell'invulnerabilità era stata un duro colpo per lui, aveva insinuato una vena di tristezza e paura nel suo carattere solare, l'aveva reso ancora più dolce, tenero, attento.
Ieri mattina c'è stata una piccola cerimonia laica per salutarlo.
E' stato difficile organizzarla: nessuno sapeva da che parte incominciare, a memoria d'uomo non si era mai fatto, e quanche vecchietto del paese, vedendo la bara senza la croce sopra se l'è presa col povero impresario delle pompe funebri.
Si sarebbe indignato per questo. Lui non era religioso, e si definiva ateo e materialista, senza rendersi conto di quanto spirituale fosse il suo modo di essere.
Ma questo non c'entra niente con la religione, in effetti, c'entra solo con la sua anima grande.
In ogni caso alla cerimonia c'era tantissima gente oltre ai familiari: colleghi, amici di tutti i generi e provenienti dagli infiniti rami dei suoi infiniti interessi, e alunni ed ex alunni a frotte: i più dispiaciuti e commossi di tutti.
I più piccoli mi hanno chiesto sue foto, i più grandi hanno chiesto che i due colleghi di musica organizzassero uno spettacolo musicale in sua memoria.
Lui amava la musica e il teatro, cantava benissimo e recitava meglio, e durante gli spettacoli era sempre sul palco coi ragazzi, interpretando le parti più difficili, quelle per cui le voci ancora incerte dei bambini non avevano ancora sufficiente forza.
Dopo la cerimonia, quando la piccola cappella del cimitero è stata chiusa, io e alcuni amici siamo andati a mangiare al Liolà, che lui amava molto, e lui è venuto con noi. Tutti noi sentivamo intensa la sua presenza, e lo abbiamo sentito materializzarsi nella battuta al fulmicotone che Flavia ha fatto a Claudio, battuta che sembrava uscita direttamente dalla sua bocca, e che ha scatenato un coro di risate, e la sua non mancava.
Non riesco a pensare alla mia vita senza di lui.

sabato 20 settembre 2008

La kriptonite nella borsa

Ho iniziato a leggere questo libro due giorni fa, la mattina del 18 settembre.
Io e il prof stavamo facendo colazione, e come sempre stavamo leggendo. Dopo due pagine gli ho detto: "Devi leggerlo, sono sicura che ti piacerà".
Parla di Napoli questo libretto, di una famiglia un po' normale e un po' squinternata, dei vizi e vezzi di una città diversa da tutte, che io conosco pochissimo, ma della quale, al posto d'onore nella nostra sala, è appesa una panoramica notturna.
E poi le battute, i frizzi, i lazzi, le inquitetudini e i segreti timori, e i personaggi, uguali a quelli che lui mi ha sempre raccontato fare parte della sua gioventù napoletana.
Ma lui, il mio amore, il mio mitico prof, il prof per definizione, non leggerà mai questo libro.
La sera del 18 settembre, mentre stavamo cenando, come sempre col nostro libro davanti, e lui stava leggendo Diario di scuola di Pennac e stava ridendo riconoscendo molti suoi colleghi nelle impietose descrizioni dello scrittore francese, si è improvvisamente accasciato, e nonostante un'ora di sforzi da parte dei medici del 118, non c'è stato nulla da fare.
Ho finito il libro questa mattina. Non riesco a dormire perché il dolore mi morde coi suoi denti di lupo.
L'ho finito e ho pianto, e ancora piango, perché Alfredo avrebbe adorato questo piccolo libro, e su ogni aneddoto avrebbe ricamato altri aneddoti presi dall'inifnito archivio della sua giovinezza, prendendomi in giro perché io sono lombarda e non ho avuto la fortuna di nascere a Napoli, però tutto sommato non sono una lombarda così male: detesto Bossi e Berlusconi, so fare la pastiera, capisco ormai meglio il napoletano del friulano, che ancora mi paralizza nonostante viva qui da quasi dieci anni.
Ciao amore mio, Rosaria si è impegnata a non farmi scordare il napoletano, ma tu puoi prendere esempio da Gennaro Superman, che poi Superman era anche il tuo eroe preferito, e vieni a farmi una carezza ogni tanto. Me le vedo davanti, le tue mani grandi, calde e gentili, me le sento ancora sul viso.

domenica 14 settembre 2008

Vox populi

Non so dire se sono più tediata o più scioccata dalla vicenda Alitalia.
A rigor di termini potrei anche sentirmi un pochettino tronfia, dato che avevo già previsto mesi fa come sarebbero andate le cose, dopo che il nano malefico aveva buttato sul piatto la sua carta per vincere le elezioni, e mandato contemporaneamente un messaggio mafioso ai sindacati.
Insomma che la famosa cordata di imprenditori si è fatta, si chiama CAI, nel miglior stile alpinistico, ma da lì al salvare l'Alitalia ce ne corre, e infatti l'Alitalia è sull'orlo del baratro.
La cordata è così entusiasta del suo compito che al primo intoppo ha lasciato il tavolo delle trattive, e non ha ritirato l'offerta solo perché, probabilmente, la fuga è stata così veloce che si sono dimenticati il faldone.
Il nano aveva proposto ai sindacati di sabotare il piano di acquisizione Air France facendo non troppo velatamente capire che lui avrebbe salvato la compagnia così com'è.
E invece?
Invece c'è la good company e la bad company, ci sono i registri in tribunale per insolvenza, ci sono esuberi pari a circa il doppio rispetto al piano della compagnia francese, ci sono sul piatto riduzioni di stipendio per il personale che resterebbe in servizio di circa il 25%.
Pare una riedizione di paria dei cieli.
E il solito nano che cosa fa? Va in giro a dire che il paese è solido (ho il dubbio che si riferisca ad Arcore però), e che il federalismo fiscale e la riforma della magistratura sono quello che la gente vuole, e con queste riforme (riforme?), il paese si riprenderà dalla crisi.
Vedo difficile conciliare queste affermazioni col progetto di lasciare sul marciapiede circa 6.000 persone, che si vanno ad aggiungere a tutti coloro che hanno perso il lavoro negli ultimi anni, e di dare ai rimanenti uno stipendio che li costringerà a chiedere l'elemosina nel tempo libero.
Come sempre il nano strilla contro l'opposizione.
Opposizione che, quando era al governo, stava riuscendo a vendere, e in modo nemmeno troppo disonorevole, la bagnarola ... ehm, la compagnia.
E allora, come la mettiamo? Il Berlusca è sempre attento ai sondaggi.
Bene, un sondaggio su Repubblica dice che il 57% dei lettori attribuisce le colpe della tragedia all'attuale governo, e un altro 11% ai sindcati, che infatti sono corresponsabili per aver creduto al messaggio mafioso del pessimo soggetto.
Vox populi, nanetto.
In più, per aggiungere la mia voce al coro, trovo ignobile il federalismo fiscale, e peggio che ignobile, illecita, la riforma della magistratura che il tuo governo ha in mente.
O non posso considerarmi popolo?

Cambiamo argomento.
Da ieri fa freddo.
Non freschino, freddo freddo, con bora. E questo mette fame. Però stasera siamo fuori a cena, così abbiamo pensato di fare uno spuntino come pranzo.

Pane condito alle acciughe (x 2 persone)
4 sottili spianate arabe, 300 g di acciughe fresche sfilettate, 4 o 5 filetti di acciuga sott'olio, 6 olive verdi grandi, qualche pomodorino, un cucchiaio di capperi di Pantelleria, 50 g di pecorino fresco, 2 cucchiai di pecorino romani grattuggiato, 1 peperoncino fresco, prezzemolo, olio extravergine di oliva.

Tritare insieme i filetti di acciuga sia freschi sia sott'olio, il peperoncino, i capperi, il prezzemolo e le olive snocciolate.
Tagliare a pezzetti i pomodorini e a fettine sottili il pecorino.
Stendere un foglio di carta da forno in una teglia bassa e larga, disporre sul foglio due spianate, coprire ciascuna spianata con una metà degli ingredienti, irrorare con un filo d'olio, coprire con le altre spianate, cospargere con il pecorino grattuggiato e gratinare in forno caldissimo per 5 minuti, o finché il formaggio è dorato.

giovedì 11 settembre 2008

Pari opportunità

Si vede che è il periodo della discesa in campo delle ministre di questo governo Berlusconi, vale a dire di quelle illustri sconosciute, o conosciute non illustri, che hanno ottenuto la poltrona non si sa per quali meriti.
Dopo il tifone Gelmini, che sta avendo l'indubbio merito di far regredire la scuola italiana a una velocità persin superiore a quella alla quale sta regredendo l'intera società, ora tocca a Mara Carfagna.
Questa gentil signorina, più nota per i suoi calendari in desabillè che per per le sue qualità politiche, ammesso però che certe abilità non siano da considerarsi politiche, dal momento dell'insediamento ha dato notizia di sè esclusivamente per una tirata contro i gay.
Ma evidentemente la ragione del silenzio non era l'improduttività, ma un pensiero profondo. Già si sa, il capo non dorme, pensa.
Comunque, da tutto questo pensiero, è scaturito un ddl che rende reato la prostituzione in luogo pubblico, che diventa reato punibile sia per la prostituta che per il cliente.
La famigerata legge Merlini, che ha chiuso i bordelli in Italia, partiva da un pensiero abbastanza realistico: non sono le prostitute a commettere un reato, e nemmeno chi va con le prostitute, bensì chi le prostitute le sfrutta.
Quindi non esisteva il reato di prostituzione, ma quello di sfruttamento della prostituzione.
Perché è brutto prostituirsi, ma se una donna lo fà liberamente, per sè, per quanto una società che costringe una donna alla prostituzione senza darle altre opportunità sia ignobile, fa una sua scelta, ma se è qualcun altro che la costringe a prostituirsi, la priva persino dell'infima libertà di utilizzare il proprio corpo per sostentarsi.
Tutto cambiato: adesso chi si prostotuisce commette reato, e non fa nulla se è una minorenne albanese messa sulla strada a furia di stupri e botte.
Non la si aiuta, non si cerca di aiutarla a trovare una sua dignità.
La si arresta, la si espelle, e la si prepara a rivivere il ciclo da cima a fondo.
O pensa la ministra Carfagna che una volta espulsa quella povera ragazzina verrà lasciata in pace, e che le sue misure metteranno un freno a un commercio così redditizio?
Se così fosse, con le leggi severissime che sono state varate contro la droga, non avremmo più commercio di droga in questo paese.
E invece, come sempre in questo paese, si punisce il pesce piccolo e non si fa nulla contro quello grosso.
Si punisce lo spinellatore, ma non si fa nulla contro il grosso spacciatore.
Si punisce la prostituta, ma non chi a botte l'ha messa sulla strada.
Così la coscenzucola della minsitra è soddisfatta, gli affari dei caporioni non sono minimamente intaccati, la pubblica opinione imbottita di televisione dice che era finalmente ora, e tutti sono felici e contenti.
La nostra ministra non a caso si occupa di pari opportunità, no?
E poi suvvia, la legge punisce la prostituzione in luogo pubblico, certi commerci che danno posti in televisione, e, a quanto si dice, pure ministeri, mica avvengono in luogo pubblico.

domenica 7 settembre 2008

Passin passino

Stamattina abbiamo deciso di andare a fare una passeggiata a peidi, per la verità stimolati anche da una simpatica trasmissione di radio due intitolata "Carpa diem" e condotta da Lucia Cosmetico, non a caso formatasi alla scuola di Caterpillar.
Comunque, stimolazioni o non stimolazioni, visto anche il bel tempo, ci siamo infilati pantaloncini e scarpe da tennis, e siamo usciti.
Noi passeggiamo, non facciamo jogging, questo sia ben chiaro: non abbiamo alcuna ansia da prestazione, solo la voglia di fare un po' di salutare movimento, e di guardarci attorno.
Abbiamo stabilito a grandi linee il percorso: a piedi fino alla più vicina fermata dell'autobus, circa 5 km facendo i sentieri piuttosto che la strada asfaltata, poi autobus fino alla stazione, e il seguito da decidersi basandosi sulla fame e il mal di piedi.
Siamo partiti di buon passo, consci che il primo chilometro è il più difficile, quello che potrebbe farti facilmente dire: torniamo indietro e prendiamo la macchina.
In realtà faceva piuttosto caldo, con una discreta umidità dell'aria, e così siamo stati felici che i sentieri che avevamo preso conducessero per prima cosa dietro il centro commerciale, e che lo stesso fosse aperto.
Siamo entrati, ci siamo rinfrescati nel bagno, abbiamo acquistato una confezione di fazzoletti di carta, che abbiamo la casa piena, ma ovviamente dimentichiamo sempre di prenderne su un pacchetto, e sostenuto una divertente discussione con la cassiera della cassa rapida, la quale sosteneva che avendo lei appena aperto non poteva dare resti, e quindi avremmo dovuto pagare con la carta di credito. 85 cents? ma per favore. In ogni caso avevamo le monete contate, e quindi il teatrino è stato del tutto inutile.
Quindi, ristorati, abbiamo affrontato l'ultimo tratto di strada fino alla fermata del'autobus.
Ovviamente ne era appena passato uno, ed essendo domenica e quindi la frequenza diradata, il prossimo è tra mezz'ora.
Acquistiamo i biglietti all'edicola, e iniziamo a discutere se sia meglio aspettare lì, oppure andare alla fermata successiva, oppure andare in un altro posto dove passa un'altra linea. Ovviamente non sappiamo esattamente dove si trova la fermata dell'altra linea nè gli orari.
In ogni caso passiamo piacevolmente la mezz'ora di attesa, facendo quello che tutti noi intellettuali di sinistra sappiamo fare in via genetica: discutere sul nulla con perizia e competenza.
Arriva l'autobus ed è completamente vuoto, se si escludono l'autista e il controllore, e ovviamente il prof attacca bottone col controllore.
L'argomento non è peregrino: come mai la linea non si prolunga almeno fino al centro commerciale. Il controllore, che evidentemente si annoia, ci spiega cortesemente che è una questione di soldi, nessuno vuole pagare questo prolungamento. Io mi chiedo a che cosa servono i soldi del biglietto che noi paghiamo, dato che, a quanto pare, nel conteggio non vengono nemmeno ipotizzati.
Mi pare un po' il serpente che si morde la coda: non si danno i servizi perché non convengono, non convengono perché i cittadini non li usano, e i cittadini non li usano perché sono insufficienti.
In ogni caso nel frattempo scopriamo che la domenica il bilietto dura quattro ore invece che una, e che quindi, assai probabilmente, avremo due biglietti che ci avanzeranno per la prossima volta.
Arriviamo in stazione, scendiamo e decidiamo di andare a mangiare una pizza in una pizzeria di Via Cividale. Non abbiamo voglia di andare a piedi, quindi aspettiamo l'autobus che arriva da quelle parti.
Io, ovviamente, approfitto per fare un giro in edicola e comprarmi un libro.
Intanto, fuori dalla stazione, arrivano due ragazze di colore, non saprei dire esattamente a che etnia appartengano, ma sono decisamente europeizzate. Subito dopo arrivano due ragazzi, e uno di loro inizia immediatamente a litigare con una delle ragazze. Parlano in arabo, ma la mimica è eloquente. La ragazza non ne vuole più sapere del ragazzo, gli dice che lei è padrona della sua vita e che lui è un peso inutile. Il ragazzo porta avanti le sue ragioni, che appaiono ben misere di fronte alle rivendicazioni della ragazza, che infatti ha la meglio e lo scaccia. Lui cerca di tornare indietro, ma l'amico lo trascina via per evitare ulteriori piazzate, mentre lui, infuriato, urla "sharmuta". E' proprio questa parola, che significa puttana in arabo, che mi conferma che ho capito bene tutta la scena.
Intanto arriva l'autobus. Saliamo e facciamo in tempo a sentire una anziana signora, locale dalla testa ai piedi, che dice a un'amica, con tono indignato: "Al giorno d'oggi se ne vedono di tutti i colori, sembrava fosse un uomo e invece era una donna". Si riferisce all'utista dell'autobus. In stazione viene effettuato il cambio di turno, così lei ha visto in faccio quello che scendeva, e, orrore supremo, era una donna, coi capelli corti, magrina e con la divisa le era sembrata un ragazzo.
Ci guardiamo in faccia e consideriamo che anche qui, in questa piccola città sonnolenta e provinciale, che pure è convinta di essere il centro del mondo, ormai la società è multietnica, colorata quanto più non si può, e stratificata.
Stratificata senza possibilità di rimedio: la signora che si stupisce dell'autista donna non ha gli strumenti culturali per assistere a un litigio tra immigrati, in più nella loro lingua, per cui nemmeno li vedrà.
I quattro ragazzi fuori dalla stazione per la signora in viola seduta sull'autobus proprio non esistono.
In mezzo agli strati ci siamo noi, gli intellettuali di sinistra di cui sopra.
Noi che guardiamo tutto, siamo curiosi di tutto, ma siamo impotenti e inosservati, inascoltati da qualsiasi strato. Siamo un non strato che non riesce a diventare una inclusione, portiamo in giro solo i nostri dubbi, le nostre analisi che non interessano a nessuno, e la nostra curiosità atavica. Che poi su, non è mica serio essere così curiosi e palesemente infantili alla nostra età, pare dirci il signore con completo anni '70 che ci guarda con disapprovazione perché, in pantaloncini a scarpe da tennis discutiamo in autobus dei massimi sistemi.
E siccome l'età ci sta facendo diventare sordi dubito che il volume non sia nemmeno un sussurrato.
Arriviamo in pizzeria, gustiamo la pizza, e, subito dopo, un gelato in una delle migliori gelaterie della città.
Dopo di che intraprendiamo il viaggio di ritorno, per oggi siamo stanchi.

martedì 2 settembre 2008

Lunga vita ai morti

Dato che a quanto pare questo è periodo di barzellette, e che la barzelletta per definizione è il concetto di vita espresso dal Vaticano, dopo la raccomandazione espressa l'altro giorno dall'ermellinato, vale a dire il rispetto della sacralità della vita ai migranti che sfuggono a morte certa, raccomandazione secondo la quale i suddetti migranti dovrebbero restare a casa loro a farsi ammazzare di sicuro piuttosto che rischiare la vita per sfuggire a una situazione insostenibile, oggi l'Osservatore Romano aggiunge una postilla alla barzelletta.
In altre parole il giornale della piccola monarchia assoluta che, come un cancro, è inclusa nel nostro territorio nazionale governando e legiferando al posto di chi dovrebbe farlo, ha espresso l'opinione che la morte cerebrale non segni più il momento del decesso, ma che, in base a non meglio precisate nuove ricerche scientifiche, la persona sia ben viva nonostante il suo organo pensante non funzioni più, e pertanto la creatura sia più simile a una carota che a un essere umano.
Confesso che la prima cosa che mi è venuta in mente è che le ricerche scientifiche citate dall'Osservatore Romano siano state fatte utilizzando dei leghisti, nei quali, come è noto, l'organo pensante non è il cervello, rendendo quindi del tutto plausibile quanto citato dal giornale.
Considerato però che i leghisti sono diffusi fondamentalmente in Italia, paese dove la ricerca scientifica langue, si evince che queste ricerche sono state fatte da un'altra parte, ma in ogni caso non è questo l'argomento in discussione.
In discussione è il fatto che una simile presa di posizione manda a gambe per aria la disciplina dei trapianti, favorendo così le carote contro gli esseri umani.
Voglio dire: se tu sei ormai decerebrato, incapace di intendere e di volere, vivo solo dal punto di vista biologico e solo perché delle macchine stimolano l'organismo a compiere determinate funzioni, allora sarai tutelato in quanto vivo secondo il precetto della chiesa cattolica.
Se invece sei un infartuato, o un ammalato di cuore, con una qualità della vita miseranda e una speranza di vita tendente a zero senza un trapianto, beh, ti converrà morire o entrare in coma alla svelta, così almeno il tuo cadaverone verrà mantenuto in vita.
Ovviamente in un paese civile si provvederebbe innanzi tutto a precisare che se nella piccola monarchia assoluta vogliono coltivare morti viventi così come si coltivano carote, beh, possono farlo a casa loro e a spese loro, senza rompere le scatole a chi, tutto sommato, li ospita e li foraggia.
Dopo di che il paese civile tirerebbe dritto per la sua strada badando al benessere sei suoi cittadini viventi.
Scommettiamo invece che in questo paese del cavolo si aprirà ampia discussione sulla barzelletta odierna, perdendo di vista l'essenziale della qualità della vita e della certezza della morte?
Ma già, le carote non dissentono, sarà per questo?

Cambiando argomento, oggi ci siamo preparati una interessante insalata di pasta, coi peproni però, che le carote al momento mi stanno antipatiche.

Farfalle con fagioli, peperoni e tonno (x 2 persone)
160 g di farfalle, 1 scatola di fagioli canellini, 1 peperone rosso, 1 cipollotto, e scatola di tonno, prezzemolo tritato, olio extravergine di oliva, pepe.

Tagliare il peperone a listarelle e cuocerlo in microonde alla massima potenza per 5 minuti.
Tagliare a fettine sottili il cipollotto.
Scolare i fagiolini e il tonno.
Mettere in una insalatiera tutti gli ingredienti.
Nel frattempo cuocere e scolare la pasta, metterla nell'insalatiera, aggiungere l'olio e mescolare molto bene. Lasciar raffreddare prima di servire

lunedì 1 settembre 2008

I libri di agosto

W. - Jennifer Lee Carrel - 31.08.2008
Chesil beach - Ian McEwan - 28.08.2008
Antartide. Perdersi e ritrovarsi alla fine del mondo - Tito Barbini - 27.08.2008
La finestra rotta - Jeffery Deaver - 27.08.2008
Piccoli suicidi tra amici - Arto Paasilinna - 25.08.2008
I pellegrini delle tenebre - Serge Brussolo - 23.05.2008
Stupida puttana. I miei viaggi in Asia da pseudovergine ventenne -Iris Bahr - 22.08.2008
La città labirinto - Robert Silverberg - 21.08.2008
Invasori silenziosi - Robert Silverberg - 20.08.2008
Il sogno del Tecnarca - Robert Silverberg - 19.08.2008
Galapagos - Francisco Coloane - 18.08.2008
Grotesque - Natsuo Kirino - 16.08.2008
Il vagabondo delle stelle - Jack London - 14.08.2008
Il sole dei morenti - Jean-Claude Izzo - 09.09.2008
Un miliardo di donne come Eva - Robert Reed - 06.08.2008
Il sole nero - Philip José Farmer - 05.08.2008
Il caso del cadavere ritrovato sull'argine - Janwillem Van de Wetering - 01.08.2008
La città labirinto - Robert Silverberg - 21.08.2008