martedì 18 agosto 2009

Pensando a Silvio (no, non quel Silvio …)

Stamattina mi sono svegliata prestino, ho fatto come sempre la mia ginnastica, in versione short program a causa delle dimensioni ridotte della camera, inadatte ad alcuni esercizi.
Mentre facevo ginnastica pensavo che non sarebbe difficile, nemmeno per alberghi tutto sommato piccoli come questo in cui sono a Livorno, creare una stanza per la ginnastica, dovrebbe far parte delle normali dotazioni alberghiere, come il televisore in camera, la wi-fi gratuita (qui è a pagamento) e almeno un cane e un gatto.
Da questo punto di vista il Park Hotel Garden di Livorno è messo bene, infatti gli ospiti sono accolti da un vecchio cane obeso che elemosina coccole da chiunque, da un pacifico gatto che un qualche incidente di percorso ha privato della coda, e di un altro gatto allergico alle punture di zanzara.
Fatte ginnastica e doccia, vado a far colazione, e mi lascio tentare da una brioche al cioccolato, visto che ho finito la frutta in macchina, e il bar dell'albergo non prevede altro che quelle brioche. Sono mesi che non ne mangio, e so che la pagherò, spero non troppo.
Mentre sbocconcello la brioche vedo sulle pareti alcune stampe della vecchia Livorno, coi suoi viali percorsi dai tram, e osservo, in questa come in altre circostanze, che le città prive di macchine hanno un'aria più pulita, ordinata, e in un certo senso più opulenta, di maggior benessere.
Lo so, ultimamente batto su questo tasto più del solito, ma in questo viaggio ho visto città e piccoli centri ingolfati, deturpati, sviliti dal continuo traffico, e non riesco a mettermi nei panni di quegli amministratori così pusillanimi da cedere al ricatto delle automobili, svendendo quel territorio che dovrebbero preservare. E' dai tempi di Gorizia che faccio queste prediche, voce di uno che grida nel deserto, e so che nessun amministratore, di qualsivoglia parte politica sia, mi ascolterà mai.
Seguendo le indicazioni per riprendere l'Aurelia in direzione di Grosseto percorro i viali a mare, che a quest'ora del mattino sembrano una Promenade des Anglais in minore, con la gente che fa jogging prima che venga il caldo vero. Passo davanti alla famosa Accademia Navale, con la sua aura di romanticismo alla Ufficiale e Gentiluomo, e poi finalmente saluto Livorno.
La decisione di tornare sui miei passi è meditata: devo arrivare a Collesalvetti, e avevo visto le indicazioni già in città, ma ho come l'impressione che prendere la deviazione da dove la segnalava Viamichelin mi riserverà qualche sorpresa. Infatti è così, il paesaggio muta drasticamente.
Sto decisamente andando verso nord, e lo testimoniano sia il verde più vivo ai lati della strada, sia la maggiore umidità che percepisco sotto forma di una sensazione di appiccicoso sulla mano che allungo fuori dal finestrino.
Percorro questa strada in direzione di Pisa, che attraverso, con la tentazione di una visita al Campo dei miracoli, ma mi accontento di scorgere la sagoma della cupola e della torre pendente, vorrei arrivare a Sarzana prima di pranzo.
Da Pisa, in direzione di Massa, arrivo a Lido di Camaiore, dove mi fermo per una sosta tecnica (pipì e caffè). Costeggio uno stabilimento balneare buffamente chiamato Isonzo, e mi siedo in un bar che ha tutta l'aria di essere uno dei must della litoranea. Chiedo un caffè shakerato senza zucchero, mi servono un caffè frappè con sciroppo di vaniglia. Non è la stessa cosa, ma non ho voglia di mettermi a discutere, ho sete e caldo e lo bevo lo stesso.
Riparto per arenarmi subito nel traffico infernale, anche oggi, come ieri, riesco ad imbastire una deviazione dettata solo dal senso dell'orientamento, e a riprendere l'Aurelia in direzione di La Spezia.
Viaggiare a questa velocità minimissima ha come conseguenza che si perde un po' il senso della distanza, e trenta km sembrano il doppio, per rassicurarmi di non aver sbagliato tutto tiro fuori la cartina, la spiego a un semaforo rosso, mi faccio suonare perché non riparto al verde, ma per lo meno mi accerto di essere in traiettoria.
Ieri sera ho prenotato un albergo, non a Sarzana, ma a Santo Stefano Magra, e decido che ci andrò subito, in modo da farmi una doccia. Arrivo e non c'è nessuno. Suono più volte, come consiglia un cartello appeso, ma niente. Un po' di cattivo umore torno verso Sarzana, e lì faccio un'altra scoperta poco simpatica: la mostra inizia alle 18.00. Sui cartelli, e sul sito internet, non c'è scritto niente, e non sono in grado di ricordare se era già così tanti anni fa, quando ci sono venuta un paio di volte.
Giro un po' per la cittadina, non c'è molto di aperto, visto che per adeguarsi agli orari della mostra anche i normali negozi fanno orario notturno, finché non mi viene fame, e mi siedo fuori da un locale specializzato in focacce e farinata, d'altra parte siamo alle porte della Liguria, e queste sono cose tipiche. Ordino la farinata, che qui è fatta di grano e non di ceci, condita col pesto. E' ottima, anche se un po' pesante, così provo a tornare in albergo.
Questa volta sono fortunata, trovo i proprietari e prendo possesso della mia cameretta. E' un po' minimalista e dà sulla provinciale, speriamo bene per il traffico. Faccio una doccia veloce, leggo un po', schiaccio un pisolino, e sono pronta ad affrontare la mostra.
Tutto il centro storico della piccola cittadina è guarnito di bancarelle, con ogni e qualsiasi tipo di oggettistica di antiquariato. Ci sono alcune cose graziose, altre che sono vera paccottiglia, c'è il cosiddetto modernariato, che a me proprio non piace, ci sono le vecchie lenzuola della nonna, un po' di tutto e per tutti i gusti. Il mio interesse per questo tipo di cose è puramente estetico, non c'è assolutamente nulla che acquisterei, nemmeno un paio di tavoli che trovo interessanti.
La mia casa minimalista mi va benissimo, è perfettamente adeguata alle mie esigenze (ospitare i miei libri fondamentalmente) e a quelle dei miei gatti (che possono fare danni senza che per questo si demolisca un patrimonio), nonostante ciò ho una discreta conoscenza, o meglio, un certo gusto, per distinguere che cosa vale al pena e che cosa no, che di solito sfogo su oggetti piccolissimi.
Girellando per gli stand incontro una mia conoscenza, che molto gentilmente mi offre la possibilità di visitare la parte veramente sostanziosa della mostra, vale a dire quella ospitata nella fortezza, senza pagare il biglietto.
I primi stand sono dedicati ai gioielli, che sono d'epoca e assai vistosi. Ci sono pezzi veramente pregevoli, soprattutto cammei, ametiste e perle, e per un breve momento mi innamoro di una collana a doppio giro, in oro e perle, degli anni '40, che viene venduta per la modica cifra di 2.200,00 euro. E' una cotta velocissima: non porto gioielli, e pertanto non hanno alcun vero potere su di me.
Continuo a girare per le stanze della fortezza, che ospitano mobili, quadri, sculture, stampe, ogni e qualsivoglia ben di dio il passato ci abbia lasciato in eredità, proveniente da miriadi di fonti, non escluse chiese e sacrestie, poi lo vedo. E' un piccolissimo olio su tavola, deposto all'interno di una vetrinetta foderata di azzurro assieme ad altri, e spicca su tutti per la sua luminosità, la morbidezza del tratto, la felicità della composizione. E' un campo di grano maturo, in salita, sul quale alcune figurette di mietitrici si danno da fare. Lo guardo. Passo oltre. Torno indietro. Cerco di interessarmi alle altre tavolette, ma gli occhi ricascano sulle mietitrici, che sono di Silvio Poma, uno stimato paesaggista lombardo dell'ottocento. Allo stand non c'è nessuno, e sto per andarmene rassegnata, quando arriva una ragazza, a cui chiedo il prezzo della tavoletta, che mi sta letteralmente scavando dentro. Duemiladuecento euro. Non ho abbastanza soldi, né in contati né sulla carta di credito, per mia fortuna, così le dico che ci penserò. E il problema è che ci sto veramente pensando.

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