mercoledì 12 agosto 2009

Del maritozzo

No, non è un nomignolo più o meno affettuoso per un marito basso e un po' atticciato, il maritozzo è una specialità di Roma.
L'altro giorno, arrivando, avevo espresso il desiderio di gustarlo di nuovo, dopo oltre vent'anni dall'ultima volta, e Diego stamattina, smontando dall'ultima notte di lavoro, si è fermato in un laboratorio a prenderne un paio, oltre ad altri generi da colazione mattutina.
Il maritozzo è una specie di grosso e oblungo panino al latte, che può essere o meno con uvetta, che viene tagliato a metà per il lungo e farcito di panna montata.
Teoricamente semplicissimo, come tutte le cose veramente geniali può riservare sgradevoli sorprese così come gioie sublimi.
Il maritozzo sublime deve essere appena sfornato, consistente ma né duro né gommoso, saporito, non eccessivamente dolce. Se è nella versione con uvetta deve conservare il sapore da maritozzo, che è completamente diverso da quello del panino con uva sultanina. Il taglio longitudinale deve separare quasi completamente le due metà, lasciando però un istmo non fragile a congiungerle, dato che questa spaccatura farà da soletta a sostenere la consistente farcitura di panna. La panna in questione deve essere freschissima, ariosa, senza sentore di burro, ma anzi, con aroma di latte fresco, non deve dare sensazione di pesantezza, lo zucchero deve essere tanto quanto serve ad enfatizzarne il sapore senza prevaricarlo. Il maritozzo tipico è lungo una ventina di centimetri e fornisce sufficienti calorie da attraversare lo stretto di Gibilterra a nuoto, ma di questa sua carica energetica non deve esserci traccia mentre lo si mangia, deve andare giù, un boccone dopo l'altro, la fragranza della pasta esaltata dalla freschezza della panna, e la lievità della panna supportata dalla consistenza della pasta.
Poi però però per una intera giornata, soprattutto se non lavorativa, ci si sostenterà con qualche verdurina, lasciando lo stomaco libero di tentare di avere la meglio sul maritozzo.
Dopo cotanta colazione oziamo, i bimbi sono sempre un po' esagitati, e cerchiamo di fare un qualche genere di programma, che al momento si arena sul fatto che nel pomeriggio Diego e Michela dovranno portare Camilla dal pediatra.
Quando tornano io e Diego decidiamo di compiere una piccola esplorazione sul lago di Albano, che avevamo costeggiato ieri sera durante la nostra scorribanda serale.
Come si sa, il lago è formato da due crateri vulcanici, è un occhio azzurro sul fondo di una conca verde sormontata su un lato dalla mole di Castelgandolfo. Sulle rive si stendono spiaggette di sabbia vulcanica nera, con scintillii di mica.
La maggior parte della gente probabilmente è al mare, sulle spiaggia che scegliamo ci sono una ventina di persone in tutto, che prendono il sole e fanno il bagno nel lago.
Facciamo il bagno anche noi, l'acqua è pulitissima, e al di là delle boe di balneazione scivolano canoe e piccole barche a vela. Da qualche parte c'è un incendio, lo intuiamo dal fatto che sull'altro lato del lago si abbassano in successione i Canadair a fare il pieno d'acqua.
E' la prima volta che li vedo in azione così da vicino. I piccoli bimotore scendono a sfiorare la superficie del lago, aprendo i serbatoi che devono riempirsi, per poi riprendere quota compiendo un giro stretto sopra la conca. Guardando le loro manovre giungo a due conclusioni: devono avere motori potentissimi, e piloti coi controcazzi.
A un certo punto arriva un gruppo di bengalesi, si dispongono in un angolo della spiaggia, con tavolino e altri confort. Sono parecchi, almeno una decina, uomini, donne e bambini, sono allegri, rumorosi, hanno un pattino con cui vanno in acqua, spruzzandosi e ridendo.
Mi rendo conto che molta della gente sulla spiaggia li guarda male, qualche matrona si affretta a paludarsi nell'asciugamano per togliere il costume salvaguardando il pudore (quello dei vicini che potrebbero rimanere un po' sconvolti da certe carni, è il mio pensiero un po' maligno) e ad andarsene.
Io ripenso alle fragole di ieri a Nemi, e suppongo di aver trovato chi può averle raccolte.
Nel frattempo però è venuta anche per noi l'ora di andare, abbiamo deciso di fare una grigliata di sole verdure per cena, e dobbiamo comprare qualcosa. Mi tolgo il due pezzi che non ha fatto in tempo ad asciugarsi (senza paludarmi in alcun asciugamano, visto che non ho alcun pudore da salvaguardare), e infilo a pelle i jeans e la maglietta, e ce ne andiamo ripromettendoci di tornare domani con Michela e i bimbi.
Mentre torniamo alla macchina deploriamo lo stato di trascuratezza in cui versa il vialetto di accesso alla spiaggia. Il comune di Castelgandolfo si è affrettato a circondare il lago di parcheggi a pagamento, ha costruito un bel lungolago, con accessi alle spiagge, ma a quanto pare il suo interesse si è fermato lì, non c'è alcuna valorizzazione delle stesse, né alcun servizio, e l'incuria della gente, che come sempre in Italia scambia la res publica con res nullius, fa il resto.
Torniamo a casa, e mentre Diego si dedica alla griglia io produco una salsina di prezzemolo e aglio per le verdure, e una dadolata di pomodoro fresco per le bruschette.
Finalmente i bimbi vanno a dormire, e rimane solo Mila, cagnona golosa, ad elemosinare pezzi di bruschetta e di patata cotta sotto la cenere.
Restiamo a chiacchierare io e Michela, cercando di definire un programma per domani, ci diciamo che ci alzeremo presto, chissà ...

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