mercoledì 19 agosto 2009

I fichi di Luna

Come sospettavo, ho qualche problema di sonno dovuto alla statale della Cisa, che passa davanti all'albergo. Mi sveglio un paio di volte durante la notte a causa di camion, e definitivamente alle sei, quando il traffico si intensifica. Mi va anche bene, dato che ho deciso di uscire presto per visitare i resti di Luni, l'antica Luna di epoca romanica, prima che il caldo diventi insopportabile.
Faccio la mia ginnastica, la doccia, prendo il caffè, e vado.
L'area archeologica è segnalata, anche se non benissimo, e dovrebbe trovarsi a circa 7 km da Sarzana. Imbocco la strada, che passa da Ameglia, dove elevo una muta devozione a Paracucchi, Locanda dell'Angelo, vale a dire uno dei migliori ristoranti Italiani.
Subito dopo la locanda c'è un campo di erbaggi dove si sta facendo il raccolto, qualcosa nei contadini mi attira, e infatti sono neri. Non marocchini o altro, proprio neri, sembrano presi di peso da una piantagione di cotone del Sud degli Stati Uniti ai tempi della guerra di secessione, e mi vien da pensare ai nostri cari celodurleghisti, che dicono che questa gente dovrebbe essere buttata fuori per lasciare il lavoro agli italiani. Peccato che abbia come l'impressione che sotto questo sole, con la paga da fame che sicuramente gli viene pagata, nessun italiano avrebbe la minima voglia di scambiare la propria disoccupazione con il lavoro dei negri, ma forse bisognerebbe mettere Bossi e soci a raccogliere verdure in questo campo dove alle otto del mattino il sole è già a picco per vedere se gli entra un qualcosina nella zucca.
Dopo un paio di errori dovuti a cartelli sfuggenti, arrivo nel parcheggio dell'area archeologica. Imbocco il vialetto e arrivo al museo archeologico. Sono lì che leggo cartelli quando un tizio sbuca fuori tutto preoccupato e mi dice che il museo apre alle otto e mezza. Gli dico che aspetto.
Quando il mio orologio fa le otto e mezza spingo la porta, che è aperta, e faccio il biglietto alla biglietteria automatica, costa solo due euro. In quel mentre torna il tizio, sempre preoccupato, e ribadisce il concetto che si apre alle otto e mezza. Gli faccio vedere il biglietto, su cui campeggia stampato un 8,31, tira un sospiro di sollievo, mi da uno stampato quasi illeggibile, e mi lascia al mio destino per tornare a leggere il giornale, dopo avermi riferito che la visita all'anfiteatro si può fare dopo le 10.30. Io per quell'ora ho altri programmi, per cui rispondo che mi accontenterò di visitare i resti della città, e mi metto in movimento.
La prima parte del museo, dedicata alle sculture e all'arte religiosa, è piuttosto interessante e ben fatta, anche se alcune descrizioni destano la mia perplessità, per esempio la minuziosa descrizione della colorazione di un frontone di tempio in terracotta, che è li esposto e che non mostra alcun colore residuo. Immagino che gli studiosi abbiano accertato la natura e distribuzione dei colori con qualcosa di più efficiente dell'occhio umano.
Esco dal museo, e percorro le vie della città romana, seguendo il percorso predisposto e leggendo religiosamente, e faticosamente dato che sono un pochettino sbiaditi, i cartelli disseminati sul percorso. Continuo ad essere l'unica visitatrice di Luni, che vabbè che a un certo punto della sua storia, o meglio della sua catastrofica fine, fu chiamata città maledetta, ma mi pare che il damnatio memoriae la perseguiti ancora oggi.
Seguendo il percorso arrivo al grande tempio, che oltre al cartello descrittivo è dotato di una casetta adibita ad area museale, casetta che, ahimè, è sbarrata e lucchettata, così come saranno sbarrate e lucchettate tutte le altre aree museali che incontrerò lungo il percorso. Dirò di più: il lastricato moderno che circonda la Domus settentrionale è così invaso dalle erbacce che mi viene il sospetto che nessuno si aggiri da quelle parti da molto molto tempo.
In ogni caso la città non è piccolissima, e io sono solo con un caffè, e mi viene fame, ma vedo un provvidenziale fico, che ha le sue radici in un pezzo di muro romano, e mi fornisce sette od otto frutti maturi al punto giusto per la mia colazione. I fichi sono piante incredibili, crescono ovunque e hanno una produzione di frutti abbondantissima, frutti buoni, che costituiscono un piatto fresco, completo ed equilibrato, dovrebbero essere piantati di proposito un po' dappertutto, in modo da fornire una specie di pan di via disponibile a tutti.
Ovviamente questa pianta non sta qui dai tempi della Luna romana, ma il fatto che sbuchi dalle antiche mura mi da quasi l'impressione di mangiare un pezzo di storia, e che, venendo via dall'ombra dell'albero, debba incontrare un uomo in toga, o qualcosa del genere.
Invece incappo in una custode, che, avendomi visto improvvisamente sparire dal sentiero e non avendo collegato la mia sparizione con la pianta di fico, viene a cercarmi pensando che sia senza biglietto. Le mostro il biglietto, e le spiego dell'attacco di fame. Ride e mi suggerisce di provare anche i frutti di una enorme pianta che sta al centro di un prato che non è altro che una villa non ancora dissotterrata, dice che sono più piccoli, ma molto più dolci dei frutti della pianta che ho degustato ora. Prometto che farò l'assaggio, e lo faccio, effettivamente i piccoli fichi sono dolcissimi, forse troppo per i miei gusti.
Finisco il mio giro, torno alla macchina e vado a prendere un caffè in piazza a Sarzana, prima di affrontare una piccola gita in lunigiana.
Come Luni è sul mare, la lunigiana è montagna, con il suo verde, i suoi tornanti, e la sua cucina di entroterra. Ho deciso di pranzare ad Aulla, e prima di arrivare lì incontro un paesetto che si chiama Stadano Bonaparte, e mostra un cartello in cui pomposamente si dice che il paesetto sarebbe quello originario della famiglia di Napoleone I. Ma non era corso, mi domando io? Mah, si vede che i paesi origine di Napoleone sono come i letti in cui ha dormito, infiniti.
Dopo un po' di girovagare, raggiungo il ristorante, che si chiama Minigolf, nome solo apparentemente incongruo, e dovuto al fatto il il giardino prospiciente al locale è stato trasformato in un campo per il simpatico gioco.
Ordino piatti tipici della lunigiana per cui questo posto è famoso: un piatto misto di salumi, accompagnato da stracchino e gorgonzola dolce da spalmare sugli sgabelli, vale a dire minuscole focaccine romboidali che vengono cotte su speciali ferri e servite caldissime, in modo che i formaggi, il lardo e la pancetta letteralmente si squaglino, e poi testaroli al pesto, cioè pezzi di farinata che vengono bolliti come pasta e conditi. Il locale è specializzato anche in carne alla griglia, ma passo, quello che mi hanno servito non solo è sufficiente, ma anche decisamente abbondante.
Un pranzo così richiede un riposino, e infatti torno in albergo e dormo un paio di ore, poi vado di nuovo a Sarzana per un ultimo giro alla mostra dell'antiquariato.
Sono appena arrivata in piazza che il caldo allucinante si sfoga in un temporale, cosa che immagino riempia di felicità gli antiquari. Mi rifugio in un piccolo negozio, assieme a due tizie abbigliate in modo stravagante. Una ha una tunica bianca ricamata, lunga fino ai piedi, ed evidentemente costituita da due tende cucite, e un trucco anni '50, l'altra, un po' più vecchia, ha una tunica lunga fino ai piedi e leopardata, è pettinata e truccata come Liz Taylor in età già avanzata, e porta alle orecchie due enormi orecchini vintage che le allungano smisuratamente i lobi.
Dato che siamo lì tutte e tre e non sappiamo per quanto, ci scambiamo qualche banalità, con l'intervento del giovane proprietario del negozio, che a un certo punto, guardando il nostro abbigliamento, arguisce che non siamo insieme. Effettivamente io, coi miei capelli cortissimi, gli orecchini sobri anche se antichi, i pantaloni di rasatello marrone e la maglietta turchese sto molto evidentemente su un pianeta diverso. Ridendo dico al giovane “Tre donne intorno al cor mi son venute ...” mi guarda stranito, ripeto il verso, mi riguarda stranito, al che gli spiego che cosa è e di chi è, e lui replica che non si interessa di queste cose … mah.
Per fortuna smette di piovere, e riesco a muovermi di nuovo, continuando il mio giro, e scopro una bancarella che ieri non avevo visto e che vende LP. Trovo un disco del Banco che non ho, e decido di aggiungerlo alla mia piccola collezione, dicendomi che prima o poi dovrò portare su il giradischi dalla cantina.
Nonostante il pisolino, il pranzo è vivo e lotta insieme a me, così decido di non cenare e accontentarmi dell'aperitivo, che vado a prendere in piazza, ottimo posto per monitorare il passaggio.
Così, sulla base di una statistica che compilo a memoria, scopro che lo stile più usato dalle donne e fanciulle, bambine comprese, che frequentano Sarzana è uno stile che definirei “Venere di Botticelli”. Che se lo possano permettere o no, per età, taglia e lineamenti, la maggior parte delle donne indossano abitini diafani che suggeriscono la nudità della dea, e capelli biondo dorati lunghi e inanellati. Devo dire che è una specie di shok rendersi conto che simili abbigliamento e capigliatura, una volta vicini, appartengono a una persona che ha più pelle che viso, o un profilo talmente grifagno che più che etrusco potrebbe appartenere a un pellerossa. Come sempre mi domando perché sia necessario rendersi ridicole per seguire la moda, e se non sia meglio avere un proprio stile che quello altrui, ma io sono una notoria stravagante, e poi, come dice mia madre, la nuca rasata non è una pettinatura da donna, evidentemente quella da “Venere di Botticelli” si, indipendentemente dal fatto che c'entri qualcosa con chi la sfoggia o meno.
Si sta facendo buio, mi concedo un ultimo giro delle bancarelle illuminate, passo a salutare il mio conoscente antiquario e torno in albergo, domani si va verso Savona.

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