sabato 15 agosto 2009

I centri commerciali sono tutti uguali

Questa mattina niente turismo, né normale né gastronomico. Questa mattina centro commerciale: è l'ultimo giorno di saldi, Michela ha bisogno di sistemare il guardaroba in vista della ripresa del lavoro dopo la gravidanza, quale occasione migliore per fare compere, visto che può farlo in compagnia di un'amica e senza marito e figli? Sembrerà uno stereotipo, ma uomini e bambini sono un vero e proprio peso morto quando si debbono fare compere, soprattutto quando è necessario fare delle mediazioni tra quello che si vorrebbe indossare e quello che ci si può permettere di indossare. Sono una specialista in questo, ho dovuto farlo per quasi metà della mia vita, e solo una serie di circostanze non esattamente auspicabili mi hanno aiutato a rientrare in una taglia assai vicina a quella che avevo quando ero giovane.
In ogni caso ce ne andiamo verso il centro commerciale di Roma Eur, passando attraverso il cosiddetto quartiere dei ponti, un orrore che riesco a sopportare solo quando Michela mi assicura che l'architetto che lo ha progettato si è suicidato.
Non ricordo chi mi ha detto che la categoria degli architetti è una di quelle a maggior rischio di suicidio, e non faccio fatica a crederci. Soprattutto se si parla di quelli che sono incaricati di inventare o reinventare interi quartieri di grandi città, e in quello mettono tutti i loro sogni, possono ritrovarsi a fare un atterraggio assai brusco quando, a progetto realizzato, finiscono col rendersi conto di aver perso completamente il contatto con la realtà, e che quindi il loro sogno è appunto un sogno, e non un quartiere vivo e vivibile, anzi, finisce per diventare un dormitorio e ricettacolo di violenza e degrado.
Il centro commerciale è un enorme cubo di cemento a più piani, di uno squallido marrone bruciato all'esterno, a cui si aggrappano come frutti ipertrofici i parcheggi rossi.
L'interno è, giustamente visto che siamo a Roma, di uno stile impero romano mutuato da qualche film holliwoodiano di serie b, ed è farcito di negozi consolantemente identici a quelli di tutti i centri commerciali della penisola.
Troviamo il negozio di reggiseni identico a quello da cui mi servo io a Udine, e questo è rassicurante perché conosco la vestibilità di tutti i modelli, e posso dare sicuramente qualche buon consiglio a Michela che deve dismettere i reggiseni da allattamento, e poi i due negozi di taglie comode e di scarpe da cui ci serviamo entrambe, e noto che il fatto di dire alle commesse che io sono una loro cliente, anche se in quel di Udine, le rende assai affabili nei nostri confronti. In ogni caso acquistiamo quello che ci serve a prezzi ragionevoli, cosa che, come sempre, mi fa riflettere sul fatto che se posso acquistare oggi a undici euro una canotta che di norma viene venduta a oltre quaranta, evidentemente in quest'ultimo prezzo c'è qualche cosa che non va.
Passiamo poi alla COOP, ad acquistare generi di prima necessità, e anche qui i prodotti sono gli stessi di qualsiasi COOP d'Italia, con scarsissime concessioni alle produzioni locali, mostrando così la faccia cattiva della globalizzazione.
Torniamo a casa, pranziamo quasi al sacco, con salumi avanzati e mozzarelline di bufala, e nel pomeriggio andiamo a fare l'ormai consueto bagno al lago di Albano.
Ieri abbiamo comprato i braccioli a Matteo, che però, nonostante li abbia orgogliosamente indossati per tutta la giornata, decide che in acqua proprio non vanno, e cerca continuamente di toglierli. In qualche modo gli facciamo fare il bagno, ma non è molto convinto, e fa il bagno anche Camilla, che invece si diverte un mondo.
Prima di tornare a casa passiamo da Ariccia ad acquistare la porchetta per domani.
E' ferragosto, e il programma prevede di andare a pranzo vicino a Bracciano, dai nonni di Michela, ma facendo una specie di servizio catering.
Così abbiamo deciso che io preparerò la pasta alla puttanesca, che ho già fatto l'altro giorno e che ha suscitato entusiasmo, e poi porteremo una buona dose di porchetta di Ariccia.
Diego chiede consiglio a un collega per il miglior acquisto, e ci viene indicato il porchettaro Cioli, sulla piazza del paese. Che sia buono lo si intuisce da lontano: ci sono due porchettari sulla piazza, uno a fianco dell'altro, solo uno ha una lunga coda che attende fuori, ed è proprio quello dove dobbiamo andare noi.
Mentre Diego attende in macchina coi bimbi, io e Michela ci mettiamo in fila. La maggior parte della gente acquista grossi quantitativi, in vista del pranzo di Ferragosto.
In un bar vicino c'è una coppia che canta, allietando il pubblico. Lei non ha una gran voce, ma è intonata, lui invece è un autentico disastro. Ridiamo a lacrime, e iniziamo a scherzare dicendo che solo l'invitante profumo della porchetta ci può far sopportare un simile strazio, fingiamo di svenire l'una nelle braccia dell'altra ad ogni stecca, e in breve tutta la gente in fila ride con noi.
Quando arriva il nostro turno il porchettaro, che è visibilmente stanchissimo, ci è riconoscente a modo suo: io chiedo che cosa è un prodotto che ha sul banco, specificando che sono lombarda, e lui senza che io lo richieda me lo fa assaggiare (è la famosa coppietta laziale), poi, oltre al quantitativo di porchetta richiesto ce ne taglia una bella fetta a parte per lo spuntino mentre andiamo a casa, e ci saluta ringraziandoci per i nostri sorrisi.
Stasera ceniamo leggeri (si fa ovviamente per dire), costine e polenta grigliati, e in un ultimo soprassalto io e Michela finiamo la crostata con le fragoline. Domani ci aspettano Ferragosto e Bracciano, ma siamo ancora tutti in piedi: Matteo non ne vuol sapere di andare a dormire, e noi stiamo svegli con lui.

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