lunedì 17 agosto 2009

California dreaming

L'alberghetto di Grosseto si è dimostrato comodo e tranquillo, oltre che fresco senza bisogno del condizionatore, mi faccio una solenne dormita e mi sveglio riposata alle sei e mezza.
Faccio il ciclo completo dei miei esercizi di ginnastica, una bella doccia, carico la macchina e vado a pagare. Alla cassa c'è lo stesso cerbero di ieri, ma si vede che anche lei ha dormito bene, visto che è molto più gentile e disponibile. Mi chiede se ho riposato bene, mi fa il conto, chiama un aiuto per la carta di credito, e poi, colta da un soprassalto di coscienza, anche perché sulla ricevuta è scritto “pernottamento e prima colazione”, mi chiede se voglio un caffè.
Ovviamente lo accetto e prendo anche un bicchiere d'acqua, e sferro al cerbero il colpo finale: dopo il primo sorso esclamo “complimenti, veramente buono”. Non mi costa fatica perché effettivamente non è male, forse un po' leggero, ma con un retrogusto quasi perfetto, e cerbero gongola così tanto che vedo quasi un rigurgito di senso di colpa affiorare sui lineamenti incartapecoriti. Me ne vado prima che si commuova, non si rovina così una simile maschera schiettamente burbera.
Riprendo la mitica Aurelia, e nel giro di pochi km me me rompo le scatole. Sono stufa di colli, voglio vedere il mare, e poi questa statale assomiglia troppo a un'autostrada.
Sono attratta da un piccolo paese, che si staglia sulla cima di una collina come la prora di una nave, esco alla prima e cerco di raggiungerlo. E' poca cosa, due porte in pietra, delle quali una sola originale, un'unica via, qualche bottega, rigorosamente chiusa per ferie. Doverosamente lo percorro, scatto un po' di foto, ma il caldo è opprimente, e risalgo in macchina. Aria condizionata e Davide Vandersfroos. E' buffo sentire canzoni in laghé (il dialetto del lago di Como) nel cuore dell'idioma italico, ma tant'è, è una musica che mi piace e mi diverte, oltre che una valida alternativa al rock duro che ascolto quasi sempre.
Prendo in direzione di Castiglion della Pescaia, anche perché è urgente trovare un distributore di benzina, quando arriva. Sapevo che sarebbe successo, e avevo anche intuito il quando e il come, ma lo stesso l'onda di lacrime arriva imprevista. Mi fermo e aspetto che passi, tributo da pagare a una vacanza che faccio da sola quando l'avevamo pensata in due, ed è un altro pezzetto che se ne va, ma è giusto così, non sono propensa a lasciare incancrenire le ferite senza debita cauterizzazione.
Tolgo Vandersfroos dal lettore e lo sostituisco con un po' di rock duro, molto meglio.
Trovo il distributore, ai piedi della collina sulla quale si staglia in centro storico di Castiglion della Pescaia, il traffico decide al mio posto e non mi fermo, proseguendo verso Livorno sulla strada litoranea. So che sarà un massacro a causa del traffico, ma al momento non me ne frega niente.
In effetti si va pianissimo, a causa dei continui inserimenti di auto e camper, attraversamenti di pedoni e quant'altro. Arriviamo a Scarlino, e la colonna quasi ferma mi da agio di riflettere sulla totale schizofrenia italiana.
Mi spiego: l'abitato turistico, le spiagge, sono sovrastati dalla ciminiera fumante di uno stabilimento chimico. Non ho niente contro gli stabilimenti, né chimici né di altro genere, in fin dei conti sono un chimico, ce l'ho col fatto che la nostra nazione non ha mai, da quando è nata, effettuato una politica coerente del territorio, cambiando vocazione allo stesso con la stessa frequenza con cui io mi cambio gli slip (cosa che avviene assai spesso), col risultato di avere zone turistiche dominate da stabilimenti industriali, in una contaminazione che dal territorio si spande sulle persone, così che i nostri addetti al turismo sono, quando va bene, dei dilettanti, rozzi, impreparati, furbetti e maleducati. Sono i primi a non avere rispetto per il territorio, per cui non esigono una seria politica di pulizia e sgombero, perché questa situazione favorisce il turismo di rapina che gli è congegnale.
Da Scarlino a tutti gli effetti non si esce, così faccio un lungo giro, benedicendo il mio senso dell'orientamento che non mi costringe a seguire i cartelli stradali, e riprendo l'Aurelia in un altro punto, rassegnandomi alla similautostrada.
Mancano una settantina di km a Livorno, c'è un certo traffico, ma si può andare, e poi finalmente la statale è più vicina al mare, così ogni tanto guardo a destra e mi beo.
A un certo punto un cartello indica enfaticamente una località di nome “La California”. Mi ricordo di aver già visto qualche cosa di simile vicino a Civitavecchia, e poi so che c'è qualcosa del genere anche vicino a Pavia, e non so dove altro. Quante Californie ci sono in Italia? Che cosa hanno a che vedere con la California americana? Non lo so ma mi piacerebbe saperlo, che qualcuno mi illumini.
Mentre faccio queste considerazioni e altre arrivo a Livorno, giro un po' per orientarmi e alla fine trovo parcheggio dentro un grande giardino. Fa quello che si dice un caldo becco, però all'ombra spira una lieve brezza. Tolgo il computer dalla macchina e mi connetto per scoprire dove andare a pranzo. Individuo un ristorante che si chiama All'aragosta, e che sta vicino all'arsenale, circa un km a piedi. Mi armo di coraggio contro il caldo, e ci vado.
Mi servono dei discreti maccheroncini col ragù di triglie. Dico discreti perché la pasta è ben cotta, le triglie fresche, ma il condimento è troppo oleoso.
Per smaltire passeggio sui viali a mare, cercando di restare dentro l'ombra, e poi vedo un cartello che indica il Museo Fattori, a Villa Minnelli.
La villa è un grosso cubo giallastro, settecentesco, completamente sbarrato, infatti il museo è chiuso il lunedì. Giro per il parco, che mi è famigliare, e infatti a un certo punto mi rendo conto che assomiglia a quello della villa comunale di Gorizia, dove ho passato alcuni anni della mia vita.
L'aiuola d'onore non è circolare, ma tetralobata, e gli alberi all'interno sono carpini invece che cedri, ma è circondata dallo stesso tipo di pietre e diffonde lo stesso puzzo di gatto maschio che proviene dalla mortella. Il parco è così simile che c'è anche una sequoia, questa però, a differenza di quella di Gorizia, è viva.
All'ombra degli alberi l'atmosfera è fresca e tonificante, e su una panchina c'è un tizio che se la dorme. Rifletto un attimo e scopro che non c'è alcuna ragione per cui io non faccia altrettanto, così mi sdraio e ronfo saporitamente per una mezz'ora.
Mi risveglio (anche il tizio che dormiva si è svegliato e mi guarda strano, avrò mica russato? Ogni tanto mi capita) e torno sui miei passi, verso il giardino dove ho lasciato la macchina, nelle cui vicinanze spero di trovare un albergo possibilmente non con prezzi da rapina.
Mi fermo a prendere un gelato in una Gelateria del popolo piena di gente, ma il gelato, decantato artigianale, è un po' una delusione, è dolciastro persino il cioccolato fondente.
Poco prima del giardino c'è un Hotel Giardino, che ha anche un parcheggio interno ed è separato dalla strada da un cortile. Chiedo, il prezzo va bene, recupero la vettura ed entro a rinfrescarmi.
L'albergo è a meno di cinquanta metri dal mare, così mi metto il costume e vado a fare un bagno, poi, per asciugarmi, ripercorro i viali a mare e mi fermo a prendere un aperitivo in uno dei moltissimi piccoli baretti. Un po' leggo, un po' osservo due ragazze alle prese con due cani di grossa taglia molto vivaci. La femmina è una pitbull, il maschio non lo so, ha la faccia di un bulldog, ma la taglia di un labrador, non ho mai visto nulla del genere. Mi sembra che le ragazze non se la cavino male con i loro ingombranti compagni, che dimostrano anche un buon carattere, visto che si lasciano tranquillamente accarezzare, a riprova che i cani cattivi non esistono.
Torno in albergo, mi faccio la doccia ed esco di nuovo per andare a cena. Ho adocchiato un'osteria che recita “specialità livornesi” e si chiama “La ciurma di Max”. E' un locale giovane e trendy, di quelli che per essere moderni riscoprono antiche tradizioni. Di solito li sfuggo, ma questo ha un certo non so che di autentico. Il menù è corto, e questa è già un'ottima cosa, ma per non sbagliare sfodero un bel sorriso e chiedo a Max di darmi un consiglio, facendo presente che non prenderò il caciucco, piatto che conosco, mi piace, ma so essere un po' pesante e abbondante per il mio stomaco.
Max mi consiglia un baccalà con porri, che trovo delizioso, e poi mi serve un eccellente caffè.
Torno in strada e la brezza è così vivace da far pensare quasi al freddo, così, invece di chiudermi in camera, approfitto del cortile dell'albergo per redarre queste note.
Domani valicherò Collesalvetti, e andrò a Sarzana.

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