domenica 7 settembre 2008

Passin passino

Stamattina abbiamo deciso di andare a fare una passeggiata a peidi, per la verità stimolati anche da una simpatica trasmissione di radio due intitolata "Carpa diem" e condotta da Lucia Cosmetico, non a caso formatasi alla scuola di Caterpillar.
Comunque, stimolazioni o non stimolazioni, visto anche il bel tempo, ci siamo infilati pantaloncini e scarpe da tennis, e siamo usciti.
Noi passeggiamo, non facciamo jogging, questo sia ben chiaro: non abbiamo alcuna ansia da prestazione, solo la voglia di fare un po' di salutare movimento, e di guardarci attorno.
Abbiamo stabilito a grandi linee il percorso: a piedi fino alla più vicina fermata dell'autobus, circa 5 km facendo i sentieri piuttosto che la strada asfaltata, poi autobus fino alla stazione, e il seguito da decidersi basandosi sulla fame e il mal di piedi.
Siamo partiti di buon passo, consci che il primo chilometro è il più difficile, quello che potrebbe farti facilmente dire: torniamo indietro e prendiamo la macchina.
In realtà faceva piuttosto caldo, con una discreta umidità dell'aria, e così siamo stati felici che i sentieri che avevamo preso conducessero per prima cosa dietro il centro commerciale, e che lo stesso fosse aperto.
Siamo entrati, ci siamo rinfrescati nel bagno, abbiamo acquistato una confezione di fazzoletti di carta, che abbiamo la casa piena, ma ovviamente dimentichiamo sempre di prenderne su un pacchetto, e sostenuto una divertente discussione con la cassiera della cassa rapida, la quale sosteneva che avendo lei appena aperto non poteva dare resti, e quindi avremmo dovuto pagare con la carta di credito. 85 cents? ma per favore. In ogni caso avevamo le monete contate, e quindi il teatrino è stato del tutto inutile.
Quindi, ristorati, abbiamo affrontato l'ultimo tratto di strada fino alla fermata del'autobus.
Ovviamente ne era appena passato uno, ed essendo domenica e quindi la frequenza diradata, il prossimo è tra mezz'ora.
Acquistiamo i biglietti all'edicola, e iniziamo a discutere se sia meglio aspettare lì, oppure andare alla fermata successiva, oppure andare in un altro posto dove passa un'altra linea. Ovviamente non sappiamo esattamente dove si trova la fermata dell'altra linea nè gli orari.
In ogni caso passiamo piacevolmente la mezz'ora di attesa, facendo quello che tutti noi intellettuali di sinistra sappiamo fare in via genetica: discutere sul nulla con perizia e competenza.
Arriva l'autobus ed è completamente vuoto, se si escludono l'autista e il controllore, e ovviamente il prof attacca bottone col controllore.
L'argomento non è peregrino: come mai la linea non si prolunga almeno fino al centro commerciale. Il controllore, che evidentemente si annoia, ci spiega cortesemente che è una questione di soldi, nessuno vuole pagare questo prolungamento. Io mi chiedo a che cosa servono i soldi del biglietto che noi paghiamo, dato che, a quanto pare, nel conteggio non vengono nemmeno ipotizzati.
Mi pare un po' il serpente che si morde la coda: non si danno i servizi perché non convengono, non convengono perché i cittadini non li usano, e i cittadini non li usano perché sono insufficienti.
In ogni caso nel frattempo scopriamo che la domenica il bilietto dura quattro ore invece che una, e che quindi, assai probabilmente, avremo due biglietti che ci avanzeranno per la prossima volta.
Arriviamo in stazione, scendiamo e decidiamo di andare a mangiare una pizza in una pizzeria di Via Cividale. Non abbiamo voglia di andare a piedi, quindi aspettiamo l'autobus che arriva da quelle parti.
Io, ovviamente, approfitto per fare un giro in edicola e comprarmi un libro.
Intanto, fuori dalla stazione, arrivano due ragazze di colore, non saprei dire esattamente a che etnia appartengano, ma sono decisamente europeizzate. Subito dopo arrivano due ragazzi, e uno di loro inizia immediatamente a litigare con una delle ragazze. Parlano in arabo, ma la mimica è eloquente. La ragazza non ne vuole più sapere del ragazzo, gli dice che lei è padrona della sua vita e che lui è un peso inutile. Il ragazzo porta avanti le sue ragioni, che appaiono ben misere di fronte alle rivendicazioni della ragazza, che infatti ha la meglio e lo scaccia. Lui cerca di tornare indietro, ma l'amico lo trascina via per evitare ulteriori piazzate, mentre lui, infuriato, urla "sharmuta". E' proprio questa parola, che significa puttana in arabo, che mi conferma che ho capito bene tutta la scena.
Intanto arriva l'autobus. Saliamo e facciamo in tempo a sentire una anziana signora, locale dalla testa ai piedi, che dice a un'amica, con tono indignato: "Al giorno d'oggi se ne vedono di tutti i colori, sembrava fosse un uomo e invece era una donna". Si riferisce all'utista dell'autobus. In stazione viene effettuato il cambio di turno, così lei ha visto in faccio quello che scendeva, e, orrore supremo, era una donna, coi capelli corti, magrina e con la divisa le era sembrata un ragazzo.
Ci guardiamo in faccia e consideriamo che anche qui, in questa piccola città sonnolenta e provinciale, che pure è convinta di essere il centro del mondo, ormai la società è multietnica, colorata quanto più non si può, e stratificata.
Stratificata senza possibilità di rimedio: la signora che si stupisce dell'autista donna non ha gli strumenti culturali per assistere a un litigio tra immigrati, in più nella loro lingua, per cui nemmeno li vedrà.
I quattro ragazzi fuori dalla stazione per la signora in viola seduta sull'autobus proprio non esistono.
In mezzo agli strati ci siamo noi, gli intellettuali di sinistra di cui sopra.
Noi che guardiamo tutto, siamo curiosi di tutto, ma siamo impotenti e inosservati, inascoltati da qualsiasi strato. Siamo un non strato che non riesce a diventare una inclusione, portiamo in giro solo i nostri dubbi, le nostre analisi che non interessano a nessuno, e la nostra curiosità atavica. Che poi su, non è mica serio essere così curiosi e palesemente infantili alla nostra età, pare dirci il signore con completo anni '70 che ci guarda con disapprovazione perché, in pantaloncini a scarpe da tennis discutiamo in autobus dei massimi sistemi.
E siccome l'età ci sta facendo diventare sordi dubito che il volume non sia nemmeno un sussurrato.
Arriviamo in pizzeria, gustiamo la pizza, e, subito dopo, un gelato in una delle migliori gelaterie della città.
Dopo di che intraprendiamo il viaggio di ritorno, per oggi siamo stanchi.

2 commenti:

Francesca ha detto...

Che gelateria?
...mi hai fatto sorridere quando hai scritto che pur essendo una città sonnolenta e provinciale ci crediamo al centro del mondo...
E' proprio vero, ma l'ombelico è altrove!!!!
Un abbraccio
Francesca

ombraluce ha detto...

Fiordilatte di Via Cividale
Se non la conosci vacci di corsa, da libidine violenta!